SVILUPPO SOSTENIBILE AGRICOLTURA TUTELA DEL TERRITORIO SALVAGUARDIA AMBIENTALE

LA TUTELA DEL TERRITORIO PER LUCANAPA

Scritto da Maria Rosaria Cella e Michelangelo Sabatiello

 

SODALIZIO TRA UOMO E TERRA: UNICO SCAMPO

L’intera storia pesa come un macigno sull’uomo del terzo millennio, che sta pagando il suo falso progresso/benessere con un imminente disastro ecologico. In passato, infatti, l’idea di progresso è coincisa con la promozione di modelli consumistici per un mercato di massa, con la diarchia di industrie e banche sulla scena mondiale, con la nascita delle multinazionali, con lo sfruttamento di risorse non rinnovabili e inquinanti come petrolio, carbone, gas naturale. L’eredità che ci è stata lasciata è fatta di neo-liberismo selvaggio, ricerca esclusiva del profitto, competizione esasperata, disinteresse di equità nei sistemi produttivi e di scambio. Tali meccanismi socio-economici, irresponsabili e regressivi, si sono ben radicati nella società civile, causandone lo sfacelo: incombe ormai una generale destabilizzazione dei sistemi sociali e naturali dovuti, appunto, all’individualismo, al consumismo e all’isolamento. Basta pensare a Taranto, Porto Marghera, Brindisi, Civitavecchia, Val Basento.

Non solo i convenzionali sistemi che concorrono alla creazione della ricchezza hanno fallito, ma sono anche forti i limiti per la naturale auto-organizzazione delle comunità e per il loro auto-funzionamento: un’eredità di cui disfarsi.

Una tale sovraccumulazione di materiale da smaltire è stata causata soprattutto dal fatto che l’economia ruotava su circuiti obbligati, adottati su larga scala, che non consentivano di applicare politiche differenti. Solo recentemente si è sviluppato un immenso spirito di controcultura revisionista, che vuole di fatto interrompere i suddetti circoli viziosi e meccanismi regressivi. Al crescere di questa consapevolezza, corrisponde un forte interesse per la tutela ambientale e sociale come elemento nuovo, precipuo soprattutto delle nuove generazioni, che stanno reagendo ai tanti errori del passato.

Ad esempio, la Scuola Territorialista si oppone radicalmente a questo status quo, promuovendo sistemi sostenibili di sfruttamento delle risorse naturali ed umane. Fondata da Alberto Magnaghi (all’interno di un progetto più ampio dell’università di Firenze) all’inizio degli anni Novanta, si prefigge l’obiettivo di combattere tutti gli elementi, apportati dalla modernità, che causano la destrutturazione del territorio.

Dal Manifesto dei Territorialisti, pubblicato con la stesura definitiva il 21 febbraio 2011, si evince che il territorio, in breve, è unsistema vivente prodotto dall’incontro di ecosistemi naturali e ambiente antropico. L’uomo ha sempre compromesso i primi a favore del secondo.

La conseguenza pratica di questo fenomeno è la creazione di modelli insediativi periurbani da un lato, modelli di periferia legate a poli industriali dall’altro, l’abbandono totale di aree rurali collinari e montane, la contaminazione su larga scala delle risorse naturali, suolo, aria, acqua. Abbiamo già imputato alla modernità la colpa di inibire le qualità intrinseche del territorio. Per non vanificare quindi le sue potenzialità, è fondamentale innanzitutto acquisire un nuovo modo di abitare il mondo, un nuovo ethos: l’individuo si deve porre a servizio della collettività prima che di se stesso.

Solo grazie a questa radicale rivoluzione dei valori è possibile la realizzazione di iniziative sostenibili: lo sviluppo di un corpus unitario delle arti e delle scienze pro-territorio, che promuovano istituti di ricerca autonomi e che abbiano come oggetto la creazione di sistemi socio-economici locali.

Secondo il pensiero territorialista, infatti, proprio lo sviluppo locale autosostenibile è la chiave di volta per conquistare l’equilibrio tra i due sistemi, quello naturale e quello antropico. La rinascita del territorio deve cioè passare attraverso l’autoidentificazione, possibile innanzitutto con un’indagine incessante da operare sul locus, poi con l’acquisizione di un background culturale favorevole, che generi un forte senso di appartenenza a una comunità e a un luogo, e una maggiore sensibilità alle esigenze sociali e ambientali.

Un aiuto sulla tipologia di strategie da usare per favorire il processo di autoidentificazione, e quindi la nascita di comunità autosviluppate, ci viene offerto dagli studi di John Dryzec. Egli ha elaborato un concetto antropocentrico, che avvalora gli ecosistemi e le loro capacità produttive, definito razionalità ecologica, per la valutazione delle scelte sociali dominanti. Ebbene, per mantenere tale razionalità, servono coordinazione, flessibilità, robustezza (capacità di reagire bene nelle condizioni più disparate) e resilienza (abilità di riportare gli ecosistemi alle loro normali condizioni di funzionamento).

Soddisfatte tali premesse, si può passare ad una autorganizzazione delle risorse e delle ricchezze del territorio, processo che si traduce, in termini pratici, nella cooperazione, nell’associazionismo, nelle forme di partecipazione collettiva del lavoro. Il risultato è un insieme di piccole realtà che pullulano di sviluppo sostenibile, una sostenibilità tangibile e dimostrata dai dati di impatto ambientale e dalla qualità dei beni resi. La potenziale crescita è rilevabile più che dal PIL, dall’ISEW (Indice di benessere economico sostenibile), il cui calcolo si basa sulla distribuzione del reddito, sul deperimento delle risorse naturali, sulle perdite economiche dovute al degradamento dell’ambiente. Esso cioè deriva da un’analisi sui costi/benefici operata non per mezzo di valori monetari, come per il PIL, ma per mezzo del welfare equivalent income, un coefficiente di benessere sostenibile nella dimensione ambientale, sociale e reddituale.

La prova della validità dell’approccio territorialista è palese laddove incontra la sensibilità della pubblica amministrazione, che incoraggia tali dinamiche sociali e applica politiche coerenti di sviluppo locale sostenibile, innescando circoli virtuosi a tutti i livelli: socio-economico, culturale e ambientale. Un esempio concreto è dato dalla regione Toscana che ha favorito un consapevole ripopolamento delle aree rurali e la sottoscrizione di un impegno collettivo nel rendere rinnovabili le risorse utilizzate.

L’intero sistema descritto si figura come soluzione alla depressione economica cronica di molte aree rurali interne del Mezzogiorno. Il caso della Basilicata fa rabbrividire. Lo spopolamento ha raggiunto i valori dell’inizio del secolo scorso: opera come un tumore in metastasi che corrode l’intero organismo regionale.ma non farne giusto uso. Assurdo è scappare, lavarsi le mani e cercare benessere altrove. Un miglioramento nel comparto agricolo e agroalimentare creerebbe nuovi sbocchi occupazionali, ostacolando l’abbandono della propria terra e invertendo i flussi di emigrazione.

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